unione civile

I figli nel rapporto di convivenza

Prima di analizzare lo status di figlio nell’ambito di un rapporto di convivenza, è opportuno premettere che la legge n. 219/2012 ha disposto l’unificazione dello stato giuridico di figlio, con totale eliminazione di ogni differenza tra figli legittimi e naturali(1) (tra iprimi rientravano i figli nati in costanza di matrimonio e tra i secondi quelli generati da persone non unite dal vincolo matrimoniale).
Alla luce di quanto sopra, non ha più senso distinguere tra figli “legittimi” e “naturali” ma, esclusivamente, tra figli “riconosciuti” e “non riconosciuti”. Sul punto confronta anche il nostro ulteriore contributo, Figli legittimi (nati dal matrimonio) e figli naturali, identici diritti.

Con riguardo ai figli nati al di fuori del matrimonio e, quindi, anche per quelli generati nell’ambito di un rapporto di convivenza, infatti, il rapporto giuridico di filiazione non si costituisce automaticamente, ma solo per effetto di un atto volontario del genitore (riconoscimento di figlio naturale) o di accertamento giudiziale (dichiarazione giudiziale di paternità o maternità).
Più precisamente, il riconoscimento del figlio è una dichiarazione unilaterale con la quale una persona dichiara di essere padre (ovvero madre) di un’altra persona. In forza di questo atto irrevocabile, i figli acquisiscono diritti nei confronti del genitore .(2)
Analizziamo taluni di questi diritti attribuiti, dalla legge, ai figli riconosciuti:

– diritti successori: i figli riconosciuti nati nell’ambito di un rapporto di convivenza hanno diritti successori identici a quelli dei figli generati in costanza di matrimonio, anche nell’ipotesi in cui i loro genitori abbiano avuto altri figli nati da precedenti (o successivi) matrimoni. In altri termini, appartengono alla categoria degli eredi legittimari(3) , vale a dire quei soggetti ai quali la legge riserva, in ogni caso, una quota di eredità, in forza di un vincolo di parentela che li lega al defunto;

– diritti patrimoniali: anche in questo caso, i figli riconosciuti hanno diritti identici a quelli dei figli nati all’interno di matrimonio. Hanno, quindi, diritti di essere mantenuti, cresciuti ed educati da entrambi i genitori secondo le possibilità della famiglia, nonché nel rispetto delle loro inclinazioni. Più precisamente, i genitori sono tenuti non solo a sostentare i figli ma, altresì, a provvedere alle loro esigenze affettive, nonché a garantire agli stessi una situazione economica commisurata al tenore di vita familiare fintanto che gli stessi non diventino autosufficienti.(4)

– diritti in ipotesi di cessazione del rapporto di convivenza: come avviene per i figli nati in costanza di matrimonio in caso di separazione fra coniugi, la cessazione della convivenza non determina alcun effetto sui diritti dei figli nei confronti di entrambi i genitori, che rimangono inalterati. In mancanza di accordo tra i genitori, la soluzione delle controversie in materia di affidamento e mantenimento è riservata al Tribunale Civile Ordinario, come approfondito nel nostro ulteriore contributo, Il ricorso dei genitori non coniugati.


(1) Art. 74 Cod. Civ., come novellato dalla l. 219/2012: “Parentela – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti”.

(2) Art. 258 Cod. Civ., come novellato dalla l. 219/2012: “Effetti del riconoscimento – Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso. L’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto”.

(3)Art. 536 Cod. Civ.: “Legittimari – Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti. Ai figli sono equiparati gli adottivi. A favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli”. La Corte di Cassazione ha precisato che: “In tema di successione ereditaria, la dichiarazione del testatore di avere già soddisfatto il legittimario con antecedenti donazioni non è idonea a sottrarre allo stesso la quota di riserva, garantita dalla legge anche contro la volontà del “de cuius”; né tale dichiarazione può essere assimilata ad una confessione stragiudiziale opponibile al legittimario, essendo egli, nell’azione di riduzione, terzo rispetto al testatore” (Cfr, Cass., 15 maggio 2013, n. 11737).

(4) Art. 315 bis, introdotto dalla l. 219/2012: “Diritti e doveri del figlio – Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. Con riguardo al tema della durata dell’obbligo di mantenimento dei figli, la Suprema Corte, già nel regime previgente, ha precisato che “L’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 c.c., non cessa, “ipso facto”, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso (cfr., Cass. Civ., 26 settembre 2011, n. 19589).