Le coppie di fatto in Italia

Le cosiddette convivenze more uxorio

Si definiscono “unioni civili”, o convivenze more uxorio, tutte quelle forme di convivenza tra due persone, legate tra loro da vincoli affettivi ed economici, che decidono volontariamente di non contrarre matrimonio, ovvero che sono impossibilitate a contrarlo.
Lo Stato Italiano, ad oggi, non ha emanato una legislazione finalizzata a regolamentare le unioni civili; si parla, pertanto, di “coppia di fatto”, in quanto non riconosciuta giuridicamente.
La scelta del legislatore è coerente con i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale e, in particolare, con l’art. 29 Cost.; l’anzidetta norma, infatti, prevedendo che l’ordinamento italiano riconosce la famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, attribuisce, di fatto, una posizione di preminenza all’anzidetto modello di famiglia.
Ciò non significa, tuttavia, che un’unione “di fatto” non determini l’insorgenza di diritti e doveri in capo ai conviventi. Il quadro degli stessi, tuttavia, è frammentario, nel senso che i diritti e doveri non sono omogenei (non derivano da una normativa unitaria ed omogenea come nell’istituto del matrimonio), ma si limitano a quelli previsti da specifiche leggi.
Una differenza fondamentale tra matrimonio e coppia di fatto attiene all’eredità: se uno dei coniugi muore l’altro ne è erede per legge (art. 565 cod. civ. )(1) mentre, nel caso in cui il medesimo evento si verifichi in una coppia di fatto, il convivente sopravvissuto non sarà erede dell’altro, salva l’ipotesi in cui il compagno defunto abbia disposto in suo favore per testamento (non esiste, in altri termini, alcun diritto legale alla successione); l’inconveniente della successione testamentaria, tuttavia, è dato dal fatto che, per mezzo del testamento, si può disporre solo di una quota del proprio patrimonio, chiamata appunto “disponibile” (art. 554 cod. civ. ).(2)

Ulteriori differenze tra coppia unita in matrimonio e coppia di fatto sono, a titolo meramente esemplificativo, le seguenti:
– se uno dei conviventi necessita di un intervento medico urgente e rischioso per la sua salute, l’altro convivente non può autorizzarlo;
– un convivente non può chiedere permessi di lavoro se l’altro si ammala;
– il convivente che collabora all’impresa dell’altro non vanta nessun diritto sull’impresa stessa; a tal fine, pertanto, dovrà premunirsi con un regolare contratto di società o di lavoro dipendente;
– se la convivenza termina, il convivente che si trovi in stato di bisogno non ha diritto ad alcun sostegno economico da parte dell’altro;
– la violazione del dovere di fedeltà, che è causa di addebito nelle separazioni tra coniugi, non produce alcun effetto nel caso delle coppie di fatto.
Per eventuali rimedi, tesi a garantire maggiori tutele e reciproci diritti, anche di carattere patrimoniale, tra i conviventi, durante la vigenza del rapporto di convivenza, si rinvia a Le convenzioni patrimoniali tra conviventi (il contratto di convivenza per convivenze more uxorio), nonché, per l’eventualità del decesso di uno dei conviventi, a Il testamento in caso di convivenza, e Tutela del convivente in ambito successorio.

(1) Art. 565 cod. civ.: “Categorie di successibili. – Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”. Sul punto la Suprema Corte ha precisato che: “La disciplina di cui agli artt. 565 c.c. ss. non comprende nella categoria degli eredi legittimi tutti i parenti naturali e, segnatamente, non include tra gli “altri parenti” di cui all’art. 572 c.c. i parenti in linea collaterale di quinto grado, sia perché ciò resta escluso in conseguenza della sentenza della C. Cost. 23.11.2000, n. 532, sia perché solo per effetto di una normativa ad hoc potrà essere riconosciuta rilevanza giuridica alla parentela come istituto comprensivo di tutte le persone che discendono dallo stesso stipite ed attribuirsi la qualità di successibili ex lege in ragione di tale nozione” (Cfr Cass, 10 settembre 2007, n. 19011)

(2) Art. 554 cod. civ.: “Riduzione delle disposizioni testamentarie. – Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima”. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha sancito che: “Nel procedimento di reintegra della quota di riserva, per poter stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché il valore dell’integrazione spettante al legittimario pretermesso, occorre determinare il valore dell’asse ereditario tramite la c.d. riunione fittizia dei beni, facendo riferimento al loro valore al momento dell’apertura della successione” (Cfr Cass., 19 maggio 2005, n. 10564).