La modifica dell’assegno divorzile
Le ultime pronunce della Cassazione
Con il presente contributo intendiamo fornire utili informazioni con riguardo all’istanza di modifica dell’assegno divorzile, ed in generale sulla sua corretta quantificazione, alla luce delle ultime rivoluzionarie pronunce della Cassazione del 3 maggio 2017 e dell’11 luglio del 2018, quest’ultima a Sezioni Unite.
L’assegno di divorzio, previsto dall’art. 5 della Legge n. 898/1970, veniva corrisposto, come precisato anche dalle Sezioni Unite nel 1990 con le sentenze n. 11490 e 11492, per consentire al coniuge economicamente più debole il “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio.”
La modifica dell’importo dell’assegno divorzile, dopo la separazione, prevista dalla Legge n. 898/1970 art. 9 comma 1, pertanto, trovava giustificazione solo nel caso di nuovo matrimonio del coniuge beneficiario dell’assegno, o nel caso di raggiungimento di un’autonomia economica sufficientemente adeguata di quest’ultimo.
Nel corso del 2017 e del 2018, tuttavia, la Corte Suprema ha ribaltato questo orientamento, ormai granitico, con la pronuncia n. 11504 del 10 maggio 2017 e con la recentissima Sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018. Con la prima ha tentato di eliminare il tenore di vita, quale parametro dell’assegno divorzile, riconoscendo, quindi, l’assegno a titolo meramente assistenziale all’ex coniuge non economicamente autosufficiente.
Con l’ultima pronuncia del 2018, invece, ha mitigato questo nuovo orientamento, sancendo la natura anche perequativa e compensativa dell’assegno di divorzio, in favore dell’ex coniuge che abbia sacrificato la propria carriera per occuparsi della casa e della famiglia, confermando, però, l’eliminazione del parametro del tenore di vita.
Infatti non sussiste, e non può più sussistere, in quanto ormai del tutto anacronistico, un interesse giuridicamente rilevante al mantenimento del tenore di vita, che rischia di ridurre l’istituto del matrimonio ad una “sistemazione per la vita” del coniuge più debole da un punto di vista economico.
Il “nuovo” assegno divorzile, quindi, tiene conto di parametri ed indici quali e la capacità per una determinata persona, adulta e sana, di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali), la durata del matrimonio, l’età dei coniugi e la loro capacità reddituale, ed infine il contributo di ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare, comprese eventuali rinunce di carriera.
Per quanto riguarda la prova dell’autosufficienza economica dell’altro coniuge, si possono evidenziare quattro indici valutativi: i) i redditi a qualsiasi titolo percepiti; ii) i cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari; iii) la capacità, o comunque le possibilità effettive di svolgimento di un lavoro; iv) la disponibilità – in senso stabile – di una casa ad uso abitazione, con obbligo dei coniugi di produrre in giudizio i documenti fiscali dei redditi. La non autosufficienza economica dovrà essere incolpevole, per poter richiedere il riconoscimento dell’assegno divorzile di tipo assistenziale.
Il contributo alla conduzione della vita familiare fornito dal coniuge economicamente più debole, invece, potrà essere provato in giudizio con ogni mezzo, anche mediante presunzioni (nel caso si chieda invece l’eliminazione dell’assegno bisognerà fornire la prova contraria).
Pertanto l’ex coniuge economicamente più debole, ma comunque benestante, potrebbe vedersi riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio, provando in giudizio l’effettivo e costante contributo fornito al ménage della famiglia, e quindi a titolo compensativo delle rinunce di carriera operate in costanza di matrimonio, che hanno però permesso l’accrescimento e l’accumulo del patrimonio dell’altro coniuge, che si è potuto dedicare interamente al lavoro.
Viceversa, il coniuge che non dia prova in giudizio di aver contribuito alla creazione del patrimonio familiare, ma che non sia economicamente autosufficiente, potrà vedersi riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio, ma di importo limitato e con funzione alimentare ed assistenziale.
È importante sottolineare che per la quantificazione dell’importo e per il bilanciamento che Giudice dovrà operare in sede di giudizio, sarà necessario valutare il caso concreto, ed avranno sicuramente un’incidenza rilevante anche la durata del matrimonio oltre che l’età dei coniugi e la loro eventuale capacità di produrre ancora reddito; infine, l’assegno potrà essere sempre revisionato, o escluso, in caso di modifica oggettiva delle condizioni che lo hanno determinato.
La quantificazione e l’istanza di revisione dell’assegno di divorzio per come fin qui delineata, frutto della recentissima pronuncia del 2018, si pone anche in linea con la Convenzione Europea dei Diritti Umani, che sancisce il principio di eguaglianza e solidarietà tra i coniugi anche successivamente allo scioglimento del vincolo matrimoniale.[1]
Si segnalano, in argomento, infine, tra le ultime pronunce della Cassazione, due recenti provvedimenti di merito (l’ordinanza di Tribunale di Como del 12 aprile 2018 e il decreto del Tribunale di Ancona del 21 maggio 2018 n. 6360), che hanno previsto la revoca dell’assegno di mantenimento anche in caso di un nuovo stabile legame affettivo non caratterizzato dalla convivenza in una sola casa familiare (“L’istanza di modifica dell’assegno di divorzio alla luce delle ultime pronunce della Cassazione” )
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[1] L’art. 5 del VII Protocollo della Cedu stabilisce che “ i coniugi godono dell’eguaglianza dei diritti e delle responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio ed in caso di suo scioglimento.”