L’assegnazione della casa di proprietà di un terzo
Cosa accade, in caso di separazione o divorzio, quando la casa familiare, di proprietà di un terzo, è stata concessa in comodato d’uso ad uno dei due coniugi? In particolare: a chi spetta, in questo caso, l’assegnazione della casa di proprietà di un terzo in presenza di figli minori?[1]
Per fare un esempio utile al lettore: Tizio e Caia, sposati da quindici anni, vivono con i loro figli minorenni nella casa di proprietà di Sempronio il quale, prima del matrimonio, aveva concesso un comodato sull’immobile in favore di Tizio, senza l’indicazione di alcun termine finale. Dunque, cosa accade nel momento in cui Tizio e Caia decidono di separarsi?
In assenza di specifiche previsioni di legge che disciplinano l’assegnazione della casa di proprietà di un terzo, è compito della giurisprudenza effettuare il corretto bilanciamento tra due interessi fondamentali in contrasto tra loro: da una parte, la necessità di garantire l’interesse preminente della prole alla conservazione dell’habitat domestico e, dall’altra, l’interesse patrimoniale del terzo proprietario sull’immobile.
Come è noto, il giudice della separazione, con il provvedimento di assegnazione della casa familiare ad uno dei due coniugi, deve privilegiare la continuità della preesistente organizzazione abitativa dei minori, “tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni sociali che in esso si radicano”[2]. (Come già precisato in “Assegnazione della casa coniugale in presenza di figli”).
Secondo gli ultimi orientamenti giurisprudenziali, come si vedrà di seguito, tale criterio deve essere privilegiato anche nel caso in cui l’immobile adibito a casa familiare sia di proprietà di un terzo, sacrificando temporaneamente il diritto di quest’ultimo al godimento del bene.
Anche l’interesse dell’altro coniuge (Tizio, in questo caso) – al quale era stato concesso il comodato – subisce una provvisoria compressione, al fine di consentire la piena realizzazione del dovere di solidarietà nei confronti della prole non autosufficiente, dovere che, ovviamente, permane in capo ai genitori anche nella fase patologica del rapporto coniugale.
Occorre sottolineare che la limitazione dei diritti del proprietario e del coniuge comodatario è solo temporanea, riacquistando piena tutela nel momento in cui la prole potrà considerarsi totalmente autosufficiente.
In ogni caso, secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione,[3] il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non muta il diritto di proprietà sull’immobile, ma va soltanto a concentrare, temporaneamente, il diritto di abitazione in capo al coniuge assegnatario (nel nostro caso Caia), pur non essendo formalmente titolare di alcun diritto nei confronti del terzo proprietario.
In particolare, nella sentenza sopracitata, la Cassazione ha sostenuto che la destinazione dell’immobile ad uso familiare “non cessa per il solo fatto dell’allontanamento del coniuge che lo aveva stipulato”. La Corte, poi, continua affermando che ciò che viene a determinarsi è soltanto: “una novazione dal lato soggettivo del medesimo rapporto, rimanendo pertanto ferma la disciplina propria del tipo negoziale che impone al comodante di assicurare il godimento del bene fino a che permanga attuale l’esigenza familiare alla quale i contraenti hanno inteso fare riferimento”.
È bene evidenziare che quanto statuito dalla giurisprudenza è applicabile anche alla convivenza di fatto, in quanto: “la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio” [4]
È importante precisare, tuttavia, che tutto quanto detto finora ha senso esclusivamente nei casi in cui il proprietario dell’immobile, successivamente all’acquisto della proprietà, intenda riconoscere ai coniugi, o almeno ad uno di essi, un titolo di godimento in funzione delle specifiche esigenze abitative della famiglia. Solo in tale ipotesi a esso opponibile.
Diverso, infatti, è il caso in cui il terzo acquirente, consapevole che l’immobile in questione è adibito ad uso familiare, ne acquisiti la proprietà senza l’intenzione futura di concederlo in comodato.
In questo caso, la mera conoscenza di fatto, da parte del terzo acquirente, che l’immobile acquistato era fino a quel momento destinato ad uso familiare, è del tutto irrilevante ai fini dell’assegnazione della casa.
In altre parole, il giudice della separazione, nell’assegnare la casa familiare all’uno o all’altro coniuge, non potrà comprimere il diritto del terzo proprietario qualora ometta del tutto di verificare se, successivamente all’acquisto della proprietà, il terzo avesse inteso riconoscere ai coniugi un titolo di godimento sul bene.
Dice la Cassazione, infatti, che: “al terzo acquirente è opponibile il provvedimento di assegnazione e non la pregressa situazione di fatto, diversamente opinando si verrebbe a riconoscere alla mera situazione di fatto una sorta di “effetto prenotativo” della eventuale e comunque successiva opponibilità del provvedimento di assegnazione, non previsto da alcuna norma di legge, ovvero l’effetto di produrre un vincolo conformativo “eventuale e futuro” della proprietà sul bene oggetto della compravendita, anch’esso non contemplato da alcuna norma di legge”[5].
In conclusione, l’assegnazione della casa di proprietà di un terzo spetta al coniuge collocatario dei figli, siano essi minorenni o maggiorenni portatori di handicap, fino a quando gli stessi non saranno definitivamente autosufficienti, anche nel caso in cui la casa adibita ad uso familiare sia di proprietà di un soggetto terzo rispetto ai coniugi, purché lo stesso abbia inteso concedere l’immobile in comodato dopo l’acquisto della proprietà.
[1] Oltre ai figli minori, si fa riferimento anche ai figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap, oppure non autosufficienti senza colpa.
[2] Cass. Civ., 12 ottobre 2018, n. 25604.
[3] Cass. Civ., 10 aprile 2019, n. 9990.
[4] Cass. Civ., 27 aprile 2017, n. 10377.
[5] Cass. Civ., 10 aprile 2019, n. 9990.
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