L’assegno di mantenimento una tantum
Le leggi vigenti prevedono che con la sentenza di divorzio (per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio), il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, disponga l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente o una tantum a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
In particolare, la Legge sul divorzio (legge n. 898 del 1970) prevede anche che, in caso di accordo delle parti, il pagamento del contributo al mantenimento possa verificarsi in una unica soluzione. Questo comporta che, in caso di divorzio, le parti possono concordare di sostituire il contributo mensile per il mantenimento dell’altro coniuge con il pagamento di una somma di denaro (di solito piuttosto cospicua), in una unica soluzione, che sostituisce l’obbligo di pagamento mensile. L’intervento del Giudice, nel caso di intesa sul punto dell’assegno una tantum (in sede divorzile), è unicamente finalizzato ad accertare l’equità della somma concordata.
Il vantaggio dell’assegno una tantum, in occasione del divorzio, è presto individuata: l’assegno di mantenimento con periodicità mensile in presenza di determinate condizioni potrebbe essere in seguito modificato (con apposita istanza al Tribunale); l’assegno una tantum, invece, una volta stabilito il suo ammontare, è immodificabile. Interessante anche rilevare che l’assegno una tantum, tuttavia, non rientra nell’elenco degli oneri deducibili ai fini della determinazione del reddito.
Altro effetto rilevante da ricordare, laddove si opti per la quantificazione di un assegno una tantum, è che la Legge sul divorzio prevede espressamente (all’art 9 bis), che il coniuge che ha beneficiato di tale contributo economico, in caso di decesso dell’ex coniuge, non possa vantare alcun diritto con riguardo alla pensione di reversibilità.
In ultimo, precisiamo che anche in sede di separazione, i coniugi, in talune circostanze (assai rare e quasi sempre criticabili), preferiscono optare per una soluzione che preveda il pagamento di un assegno una tantum in sostituzione dell’assegno con cadenza mensile. Invero, tali intese, nella successiva sede divorzile si limiterebbero a costituire un mero punto di riferimento (per la determinazione dell’assegno divorzile) ma senza alcuna garanzia che rimangano invariate con la sentenza di divorzio, soprattutto in presenza di nuove circostanze che impongono la revisione di detti accordi. Senza, peraltro, considerare che non sono anche mancati contrapposti precedenti giurisprudenziali in cui tali intese sono state ritenute contrarie agli obblighi (inderogabili) ed ai diritti dei coniugi come previsti dal codice civile (art. 160 cod. civ).