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La prova del tenore di vita del coniuge e/o del convivente

La giurisprudenza sul punto della prova del tenore di vita familiare, in tema di quantificazione dell’assegno divorzile, ha recentemente mutato orientamento adottando quale prova per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in sede di divorzio dei nuovi parametri, ossia l’adeguatezza dei mezzi di sussistenza, l’indipendenza economica e l’autoresponsabilità economica del coniuge che richiede l’assegno. Solo una volta riconosciuto il diritto all’assegno, il Giudice quantificherà il trattamento spettante tenendo conto delle condizioni reddituali degli ex coniugi, del contributo personale ed economico dato da ciascuno di essi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune.

L’accertamento del tenore di vita dei coniugi, invece, è ancora rilevante con riferimento alla quantificazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione.

La valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede l’esatto importo dei redditi attraverso i dati numerici, in quanto è necessaria un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione in favore di quello più debole di una somma ritenuta congrua.

Quindi, nonostante il richiamo fatto dall’art. 706 c.p.c., nell’ambito dell’accertamento in discussione, si coglie che il ruolo delle dichiarazioni dei redditi resta, comunque, residuale[3]. A dimostrazione di ciò, molti Tribunali invitano le parti a depositare una serie di documenti specifici comprovanti l’entità del patrimonio e i redditi (visure PRA, contratti di leasing, estratti dei conti correnti bancari, contratti di locazione, contratti bancari, ecc.), oppure di onerare le parti al deposito di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, contenente ogni informazione relativa ai redditi e al patrimonio. Si tratta di prassi molto diffusa, anche se non prevista da alcuna norma.

Ad ogni modo, al Giudice è permesso di fondare il convincimento su altre prove idonee a superare, con elementi gravi, precisi e concordanti, le emergenze fiscali desumibili dalle dichiarazioni dei redditi, determinando in via presuntiva ed induttiva l’entità dei redditi effettivi, valorizzando gli elementi di fatto come fonti di prova, sempre che la motivazione adottata sia logica, immune da vizi e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni. La casistica giurisprudenziale, a tal proposito, appare estremamente variegata.

In aggiunta, come detto, il Giudice può disporre d’ufficio opportune indagini patrimoniali, anche a mezzo della Polizia Tributaria. Solitamente, le indagini di polizia tributaria vengono espletate secondo due criteri fondamentali: il primo è rappresentato dalla richiesta ed acquisizione[4] di tutta la documentazione relativa al patrimonio mobiliare ed immobiliare del soggetto coinvolto nell’accertamento. Il secondo criterio di indagine è rappresentato, invece, dall’acquisizione di informazioni, per mezzo di soggetti quali dipendenti, datori di lavoro e persone che possano essere a conoscenza di informazioni utili dirette a ricostruire ed accertare il patrimonio, il tenore di vita della parte o la reale situazione lavorativa.

E’ scontato, tuttavia, che il limite delle indagini di polizia tributaria è rappresentato dalla difficoltà di individuare i patrimoni cosiddetti occulti: dovranno essere le stesse parti ad effettuare attività di investigazione, all’esito della quale, potranno richiedere al Giudice di estendere le indagini a terzi soggetti, suggerendo quegli elementi che inducano l’organo giudicante a ritenere verosimile l’esistenza di una quota di quel patrimonio non visibile dell’ex coniuge, salvo i casi di richieste meramente esplorative[5].

[1]In assenza di una specifica disposizione, la prassi giudiziaria dei nostri Tribunali ha voluto identificare l’obbligo di depositare le ultime tre dichiarazioni dei redditi. Oltre a questo, dall’articolo in oggetto, si desume che la parte che produce documentazione attinente i redditi percepiti da controparte non commette una violazione della privacy e ciò sul presupposto che la controparte è tenuta nel primo atto difensivo a produrre tali dichiarazioni e soprattutto in virtù del fatto che non si tratta di dati coperti da privacy essendo ormai pacifico, anche a seguito della pronunzia del Consiglio di Stato del 21.09.2012, che il diritto di agire in giudizio prevale sul diritto alla privacy.

[2] Le indagini di Polizia Tributaria possono, in realtà, essere effettuate anche ai fini della tutela del coniuge più debole. La Cassazione ha stabilito che, anche in materia di separazione, deve ritenersi applicabile in via analogica l’art. 5, co. 9, della legge 898/1970, il quale prevede, in tema di riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile, che in caso di contestazioni il Tribunale possa disporre indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, avvalendosi, se del caso, anche della Polizia Tributaria. Più in particolare, la Corte precisa che “[…] l’esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che non è tenuto ad avvalersene ove ritenga compiutamente provata aliunde la situazione economica delle parti, ma ove non se ne avvalga non può rigettare le domande per mancata dimostrazione della situazione economica delle parti” (cfr. Corte di Cass. 14081/09).

[3] La Cassazione ha più volte precisato che “In tema di quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole, le dichiarazioni dei redditi, in quanto svolgono la funzione tipicamente fiscale, in una controversia relativa rapporti estranei al sistema tributario, non rivestono valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie, convincimento che non presuppone di necessità, ma che semmai implica, anche rilievo dell’addebitabile occultamento dell’effettiva consistenza della situazione economica oggetto della verifica” (cfr. Corte di Cassazione, 11 marzo 2006, n. 5379).

[4] Saranno richiesti i certificati presso le Conservatorie dei Registri Immobiliari ed il PRA; verranno effettuate le opportune ricerche volte alla ricerca di conti correnti ed alla disponibilità di titoli. Saranno, altresì, oggetto di indagine, le eventuali società di cui il soggetto è socio. Un’attenzione particolare verrà rivolta all’analisi delle dichiarazioni dei redditi, anche al fine di valutarne la correttezza e congruità rispetto al tenore di vita del soggetto. L’indagine potrà poi estendersi alla verifica delle singoli voci indicate nella dichiarazione dei redditi, con particolare riferimento alla verifica sulla veridicità delle singole fatture emesse e di quelle di acquisto, specie sotto il profilo dell’esistenza della prestazione sottostante la fattura.

[5] D’altro canto, è inammissibile una richiesta di parte volta a richiedere al Giudice di disporre delle indagini a mezzo della Polizia Tributaria con finalità esclusivamente esplorative. La parte, in ossequio ai principi sull’onere della prova, è tenuta a fornire al giudice una serie di elementi, eventualmente, anche solo di natura presuntiva, che possano indurre il giudice a ritenere necessario od opportuno un approfondimento istruttorio e a ritenere plausibile che le disponibilità e i redditi del soggetto, siano in realtà, superiori a quanto risultante dalla documentazione ufficiale.